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posso non

 

L’aperto è una figura della potenza ossia dell’impotenza poiché la potenza è sempre potenza di non. È nell’impotenza dell’angoscia e della noia, ad esempio, che si fa esperienza dell’aperto, un’esperienza dall’esito incerto e a volte sconcertante ma da cui Spinoza, passando per le passioni, fonda la sua etica che non è mai un problema di dovere ma di potenza, ossia di cosa può un corpo. Potenti sono le facoltà, la facoltà di dire o fare una cosa piuttosto che dire o fare un’altra cosa, l’atto è la sua determinazione oggettiva. La facoltà è sempre una mancanza, un’assenza, è sempre potenza di non (passare all’atto), ciò vale sia per la facoltà “matura” come quella che Aristotele indica nell’architetto che pur quando non è all’opera mantiene la facoltà di progettare, sia per le facoltà che denotano la specificità della natura umana. Cos’è potente nell’animale umano, in primo luogo la facoltà di linguaggio di cui la lingua è il corrispettivo atto; in secondo luogo (ma è impropria questa numerazione) è potenza di fare, cioè la facoltà di manipolare e di trasformare la materia e le condizioni ambientali; il corpo è un concentrato di forza fisica e di forza cognitiva trattenuta. la formula della potenza si scrive potenza di non: se diciamo non posso parlare, stiamo dicendo che c’è un impedimento che non mi permette di parlare, ma sdiciamo posso-non-parlare esprimiamo la facoltà di dire o di non dire e cioè esprimiamo la potenza del pensiero. Non questo o quel pensiero ma il pensiero in generale, il pensiero muto, trattenuto, impotente.

La potenza è sempre segnata dal segno negativo: il buio è potenza, la luce è l’atto. E il tiranno è potente perchè può non uccidere. Del resto questo processo tutto al negativo lo troviamo in molte delle nostre attività, pensate all’archè filosofico, psicologico o scientifico il cui progetto è la comprensione del mondo prima del mondo. Dopo la scoperta della particella di Dio dei moderni fisici si dovrà cercare la particella prima della particella di Dio. E poi c’è l’arte, la musica, il cinema, la letteratura…Beckett è un gigante, pensate a Film al vecchio protagonista Buster Keaton, è un master della ricerca del principio di tutte le cose, un processo serratissimo che mira alla distruzione di ogni tipo di immagine compresa quella soggettiva che è la più difficile da eliminare perchè è l’immagine di se stesso, ma con la folle determinazione di raggiungere l’immagine madre dove tutto torna all’indistinto della pura potenza cosmica. Il pensiero è marcato da cima a fondo da una mancanza, da una negatività originaria senza la quale non è possibile nessun esercizio cognitive come ci dice Borges a proposito del suo Funes, l’uomo dalla memoria così prodigiosa, così piena che occupa ogni istante della propria mente: Funes è un uomo infelice perchè incapace di pensare. Al tutto pieno, al tutto in atto di Funes risponde quell’ometto minuto, innocuo e ben educato di Bartleby che incarnando la sconvolgente formula da lui coniata I would prefer not, riuscirà a portare a compimento, pagando con la morte, l’esperimento della decreazione, luogo della potenza assoluta che Agamben contrappone alla potenza ordinata che obbliga e punisce. E poi c’è il fumoso mondo delle passioni che inesorabilmente “patiamo”, ci sono gli stati d’animo come l’angoscia o la noia che per Leopardi, prima, e per Heidegger dopo, è una superpotenza senza la quale non è possibile nessun poetare e filosofare: quando cadiamo (è letteralmente un cadere) nella noia profonda il tempo cessa di scorrere e lo spazio, cioè le cose fuori dal loro tempo non ci dicono più nulla.

La noia è tutta dentro la dimensione temporale infatti ci troviamo incantati in uno spazio senza più qualità perchè incatenati da un tempo che ha cessato di scorrere, ed è questo tempo immobilizzato che ci chiama e al contempo ci rinfaccia la Potenza che giace in noi.

 

Mauro Folci, 2013